La donna che ha fatto impazzire Parigi è stata definita come l’erotismo turgido che ha svegliato il cinema degli anni settanta. Attrice olandese, modella e cantante, icona, simbolo del desiderio di una sessualità libera e famelica, asserisce che: «Si ha bisogno di inventare, evitando la verità. Si ha bisogno di drammatizzare… che è anche una forma di protezione».
E qual è la verità che bisogna proteggere? La verità del sesso. Quell’insaziabilità amorosa ossessiva che tutti noi abbiamo viva dentro i nostri corpi. Lei ne fu portatrice, senza ombra di dubbio. Poco più che una ragazza, ruppe il perbenismo del mondo mostrando loro che la vera perversione non era tanto darsi al sesso, ma nasconderlo. Conoscerlo e viverlo. Senza fare finta che esso non esista.Per questo lei ha incarnato Emmanuelle, in ogni suo dettaglio di carne, in ogni suo frammento amoroso, in ogni suo particolare di sesso, pulsante e profondo, senza curarsi dei sessi altrui, di ogni variabile di genere, di ogni metodo usato. E per un’Europa che usciva dal ’68, la sua Emmanuelle fu un abisso di tragico, ma raffinato erotismo che esplodeva fuori dalle pareti dell’intimità borghese.
Il corpo di Sylvia Kristel è quanto di più eccitante un fotografo erotico (quale Jaeckin, appunto) potesse ritrovarsi davanti: manipolare quel corpo, immortalarlo nelle situazioni più conturbanti ed illuminarlo con sapienti contrasti di luce che lo rivelino a poco a poco. “Emmanuelle” rivisto oggi è come una lunga attesa priva di arrivo pornografico, eternamente sospesa in un erotismo lento e soffuso, un autentico orgasmo oculare.
Uno pezzo molto erotico di Emanuelle
Emmanuelle, frequentemente immortalata in veri e propri quadriviventi di sapore feticistico, ama e si fa amare da uomini e donne, le sue avventure sono viaggi alla scoperta di sapori e odori carnali lussureggianti Si ricorda ancora quanto scandalo suscitò questa sua dichiarazione:
“Mi trovo benissimo nell’amore lesbico. E’ più facile amare una donna, sul set c’è più delicatezza e dolcezza in quei momenti. Devo dire di aver avuto anche nel privato avventure con donne. Sarà una sorpresa per voi maschi, ma quando le donne si masturbano possono benissimo pensare agli uomini quanto ad altre donne”.
ancora …
“Non ho mai avuto problemi nel farmi vedere nuda, fosse anche per un film spinto.”
Parole come queste dette a metà degli anni settanta rivelano un potenziale esplosivo, sia sul piano morale che su quello più concretamente giornalistico. Puntuale il richiamo alla valorizzazione della donna in ambito estetico quanto cerebrale: “Le donne sono sempre state viste come oggetti sessuali per l’attrazione verso i loro corpi….ebbene, i corpi sono qualcosa di molto più profondo e misterioso di quello che vedete, personalmente sono annoiata dalle solite advances maschili“.
Biografia:
Sylvia Kristel nasce in Olanda, a Utrecht, il 28 settembre del 1952. Figlia di un direttore d’orchestra, ricevette una rigida educazione cattolica, ma a 17 anni, forse per sfuggire a quella pressione religiosa, decise di dedicarsi alla danza, pagando le sue lezioni con lavori come barista, segretaria e impiegata in una pompa di benzina. Nonostante volesse diventare maestra, nel 1973, si iscrisse al concorso di bellezza Miss Tv Europa. La vittoria le spalanca prima i cancelli della moda, dove lavorerà brevemente come indossatrice, e poi quelli per il cinema dove avrà un posto storico abbastanza rilevante.
Cinematograficamente, esordisce lo stesso anno nella pellicola “L’amica di mio marito” di Pim de la Parra; poi, notata dal fotografo Just Jaeckin, specializzato in erotismo patinato, viene scelta come protagonista per la trasposizione sul grande schermo dello scandaloso best-seller “Emmanuelle“, spregiudicata storia di una giovane e bella donna che in Thailandia ha delle relazioni con uomini e donne.
Da quel momento in poi il suo futuro è segnato. Non solo perché la sua filmografia da qui in poi sarà esclusivamente formata da pellicole erotiche (sono rari i casi in cui la si vedrà recitare in qualche genere diverso), ma perché la sua fama, il suo nome e il suo volto sono necessariamente diventati un cult. Lei, esordiente e poco più che ventiduenne, diventa la protagonista del più grande successo commerciale del genere soft-core di ogni tempo, che restò in programmazione per ben 10 anni in un locale degli Champs-Elysées di Parigi. Un film giusto al momento giusto, scrisse qualcuno. Emmanuelle rispondeva alle domande di trasgressione di un’altolocata borghesia annoiata. E diede il via a una serie di sequel che vedevano sempre Kristel come protagonista: Emmanuelle l’antivergine (1975), Goodbye Emmanuelle (1977), Emmanuelle 4 (1983), e Emmanuelle 7 (2001), diretti da altri registi.
La fama la porta fra le braccia dello scrittore belga Hugo Claus, con il quale condividerà la passione per i viaggi europei che le permisero di apprendere varie lingue. Tentò anche di sdoganarsi dal cinema prettamente erotico, scegliendo, per esempio, la commedia di Alain Robbe-Grillet Giochi di fuoco (1974), con Jean-Louis Trintignant, Philippe Noiret e la nostra Agostina Belli, o Una femmina infedele (1976) di Roger Vadim, ma il numero delle pellicole di stampo erotico sormontava quelle “normali”.
Conclude gli anni Settanta recitando in: Il margine (1976) di Walerian Borowczyk, con Joe Dallessandro; Tre simpatiche carogne (1977) di Francis Girod, con Michel Piccoli, Riccardo Garrone e Gérard Depardieu; l’italiano Letti selvaggi (1979) di Luigi Zampa e il catastrofico Airport 80 (1979) di David Lowell Rich. Poi nel decennio successivo la ritroviamo in Amore in prima classe (1980) di Salvatore Samperi, mentre susciteranno scandalo le sue Lezioni maliziose (1981) di Alan Myerson, giacché (nonostante la presenza di Emmanuelle) questo film è sicuramente il più controverso di tutta la sua filmografia. Nella parte di una badante francese che viene assunta da un ricco imprenditore affinché educhi sessualmente il figlio, la Kristel verrà accusata di pedofilia (assieme al regista) per via delle numerose scene di amplesso che hanno come protagonista lei e il sedicenne Eric Brown, scoprendo però poi che per le scene di nudo era stata usata una controfigura, l’americana Judy Sheldon. Un duro colpo per i fans che lei cercò di riconquistare celermente recitando in un altro film di Just Jaeckin: L’amante di Lady Chatterley (1981).
Diventata madre dell’attore Arthur Kristel, recita accanto a Richard Chamberlain, Faye Dunaway, Ornella Muti e Hanna Schygulla ne Il veneziano (1986) e dopo alcuni film di Philippe Bot, eccola ritornare nell’horror di Christopher Coppola Dracula’s Widow (1989). Nella sua carriera, perfino un film coreano: Seong-ae-ui chimmuk (1992), poi la sua ultima pellicola Bank (2002) di Sinan Cetin. Nel 2006, a 54 anni suonati, pubblica la sua autobiografia dal titolo più che ovvio: “Nue” (“nuda”), dove racconta il suo sesso, la sua vita di eccessi, i suoi letti selvaggi, il suo mondo e le purezze sentimentali, fra piaceri e dispiaceri quotidiani.
In questo tempo di voyeurismo digitale e virtuale, la sua Emmanuelle avrebbe ancora molto da dare, ma siamo più che convinti che le storie che a lei si intreccerebbero, avvinghiandosi ancora una volta alla sua pelle nuda, diventerebbero decadenti e meno patinate.
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Commento finale
L’attrice olandese è scomparsa a soli sessant’anni. Ha fatto sognare gli uomini di tutto il mondo, interpretando negli Anni 70 una ragazza bellissima e senza tabù, diventata il simbolo della liberazione sessuale.
Ci sono parole che fanno la differenza, parlano di te e della sua storia. Thoeni, Re Cecconi, Rimmel, Panatta, Watergate: per chi è stato ragazzino negli anni 70, più che nomi questi sono totem, ricordi indelebili che non hanno bisogno di spiegazioni. Per chi ha meno di trent’anni, invece, sono oscuri come geroglifici. All’elenco di icone dei Seventies si può tranquillamente aggiungere un altro nome: Sylvia Kristel, l’interprete di Emmanuelle, film culto di quei tempi. Lei, la ragazza che ha fatto scoprire il desiderio a decine di milioni di adolescenti. Gli stessi che oggi, a 50 anni o giù di lì, hanno scoperto che l’attrice olandese è morta, stroncata da un tumore a soli 60 anni, e si sono sentiti strani, tristi.
Come se a morire non fosse stato un sex symbol di fama mondiale, lontano e iraggiungibile, ma quella che una volta sognavi come se fosse la più bella del liceo, della facoltà o dell’ufficio (a seconda dei casi e dell’età). Un’amica, insomma. Una di noi.
È difficile raccontare la storia di una donna che è stata tutto e niente. Tutto, perchè – pur nella più assoluta inconsapevolezza – la Kristel si è ritrovata nella storia del cinema; niente, perché la fama è durata pochissimo e non le ha portato né fortuna né richezza, acuendo anzi l’infelicità che purtroppo per lei è stata sempre il suo segno distintivo. Eppure, nonostante una carriera breve e inconsistente, virtualmente conclusa da decenni, nessuno si è dimenticato di lei.
Il suo nome appare per la prima volta nel 1973, stampato su un poster passato alla storia come il film che doveva lanciare. Ritrae una ragazza bellissima e seminuda, seduta su una poltrona di vimini. Si chiama Emmanuelle, ed è la protagonista di un film che oggi appare datato e anche un po’ ridicolo, ma che all’epoca ebbe l’effetto di una bomba: del resto, in quegli anni, perfino il divorzio (almeno in Italia) faceva scalpore. Figuriamoci le marachelle erotiche di una giovane moglie che dà vita con il marito sporcaccione a un ménage apertissimo, in cui non è strano concedersi a uno sconosciuto (anzi, a due) durante un volo intercontinentale.
Sulla carta sembrava il classico divertissement per segaioli: quando però il film (ispirato all’omonimo bestseller di una certa Emmanuelle Arsan) comincia a incassare vagonate di quattrini, qualche testa fina s’inventa la differenza tra i film erotici (come appunto Emmanuelle) e il pornazzo classico come quelli con John Holmes. Così la reputazione di chi va ad arrazzarsi al cinema è salva, e gli incassi ne risentono: il film, costato 500.000 dollari e uscito nella più totale indifferenza, ne incassa cento milioni. Gli amplessi bisex della sfolgorante protagonista, ambientati su spiagge esotiche o in ville da sogno, fanno breccia nell’immaginario maschile. Oggi in tv si vedono scene più scabrose anche alle 5 del pomeriggio, ma ai tempi il testosterone andava alle stelle, come confermano gli innumerevoli sequel.
Sylvia è la ragazza che toglie il sonno: per l’ex modella, figlia ribelle di due cattolicissimi albergatori di Utrecht, sembra arrivata la svolta. La liberazione sessuale ha trovato il suo simbolo, ma di soldi ne girano pochi: per girare il suo cult movie si mette in tasca appena 6.000 dollari, una cifra davvero ridicola, e deve fare i conti con una realtà a doppio taglio. È vero, è diventata famosa, ma ben presto si accorge che avere un altro ruolo sarà praticamente impossibile. Anche perché, se accetti di girare Emmanuelle l’Antivergine, Goodbye Emmanuelle e Emmanuelle 4, poi non puoi pretendere che a qualcuno interessi scoprire se, oltre a un corpo da favola, hai anche un grande talento.
Intendiamoci, la Kristel sarà anche stata poco abile a gestire il suo momento magico, ma va detto che di fortuna, nella vita, ne ha avuta sempre poca. La sua autobiografia, Svestendo Emmanuelle, racconta infatti una storia deprimente, che parte con l’indifferenza dei genitori, prosegue con gli abusi subiti a nove anni da un cliente dell’albergo di famiglia e, dopo l’exploit cinematografico, accanto ai flop professionali contempla amori sfortunati, storie occasionali, gravi problemi di droga e alcolismo e, nel 2004, la scoperta di un tumore alla gola. Un male che sembrava guarito ma che, alla luce degli ultimi tragici sviluppi, in realtà probabilmente non lo era. Lascia un figlio, Arthur, che ormai ha quasi quarant’anni e fa il barista ad Amsterdam. «Quando ha visto Emmanuelle per la prima volta, non molto tempo fa, ha resistito un quarto d’ora, poi si è addormentato», raccontò la Kristel. «Ha detto che era troppo noioso…».
È sempre stata un tipo spiritoso, Sylvia, e il cliché di diva sexy le andava stretto. L’ironia, però, è un lusso che non si è mai potuta concedere, perché per tutti è rimasta Emmanuelle.