Francesca Romana Rivelli, in arte Ornella Muti, nasce a Roma il 9 marzo 1955 da una famiglia medio borghese. Il padre è un giornalista napoletano che muore quando lei ha solo dodici anni, mentre la madre è Ilse Krause, una scultrice estone. La morte prematura del padre segna la sua adolescenza, perché cresce senza una presenza maschile e passerà tutta la vita alla ricerca di un uomo-padre. La Muti, infatti, riferisce nel corso di numerose interviste che forse la causa dei suoi tanti disastri con gli uomini deriva da un’assenza della figura maschile in un periodo importante della vita.
Ornella frequenta una scuola per periti industriali e corrispondenti in lingue estere in via Quintino Sella a Roma, perché sogna di diventare fisico nucleare, ma le piacerebbe anche fare la traduttrice simultanea. Ornella è la seconda di due sorelle, la prima si chiama Claudia Rivelli e si ricorda ogg come discreta interprete di molti fotoromanzi. La sorella interpreta pure un modesto film di Nando Cicero (“Due volte giuda”, 1968), posa per servizi fotografici e partecipa a sfilate di moda, ma non riesce a sfondare. Claudia è però artefice della fortuna della sorella, perché la invita a posare insieme a lei per la pubblicità di un negozio romano. Il caso vuole che le foto finiscano in mano al regista Damiano Damiani, che la scrittura per “La moglie più bella” (1970).
Ornella Muti è una delle attrici più affascinanti del cinema italiano degli ultimi decenni, il suo sguardo felino sprigiona una carica erotica senza pari e le sue movenze catturano l’attenzione del pubblico. Il regista Marco Ferreri sostiene che il fascino della Muti proviene dall’odore che si porta addosso, dalla sua faccia ferma nel tempo, né antica né moderna, che fa innamorare tutti. Il volto di Ornella Muti è di un ovale perfetto, il suo portamento sprizza fascino e induce in tentazione. L’attrice vorrebbe essere apprezzata anche per le sue doti artistiche, non solo per il corpo, ma sono pochi i critici che riescono a guardare oltre. Le interviste dei giornalisti riguardano quasi esclusivamente la bellezza e i reporter controcorrente si contano sulle dita di una mano. Ornella ne soffre, perché è una donna intelligente che fa buone letture, apprezza la filosofia di Sant’Agostino e il cinema esistenziale di Ingmar Bergman. Ma la sola cosa che fa notizia è la sfolgorante bellezza. A un certo punto si sparge la voce che ha assicurato occhi e seno per due miliardi di lire, bocca per uno, mani per cinquecento milioni e gambe per cinque miliardi. Tutte balle.
IL PERIODO EROTICO DI ORNELLA MUTI
Nei primi anni settanta Ornella Muti interpreta qualche fotoromanzo, ma debutta nel cinema ad appena quindici anni. Nel film La moglie più bella (1970) di Damiano Damiani, storia ispirata alla vicenda reale di Franca Viola, una ragazza che si ribella ai costumi siciliani rifiutando di sposare il suo stupratore in nozze riparatrici. L’idea dello pseudonimo con reminiscenze dannunziane è di Damiano Damiani, ma viene imposto soprattutto per esigenze pratiche visto che esiste un’attrice di nome Luisa Rivelli. Damiano Damiani riferisce un’altra versione: “L’ho chiamata Muti perché quando girò con me il primo film non diceva una parola”. Lo pseudonimo pesa su di lei come una croce, chiede di essere chiamata con il vero nome, ma ormai tutti la conoscono per Ornella Muti e non potrà rinunciare all’eredità lasciata in dote di Damiani.
Nel suo primo film, Ornella interpreta Francesca Cimarosa. Non è un’esperienza facile perché si trova in un mondo che non conosce, circondata da gente severa che pretende il massimo, molto di più di quanto chiedevano gli insegnanti della scuola. Ornella vorrebbe tornare alla sua vita e calarsi di nuovo nei panni di Francesca Rivelli, ma il film riporta un successo straordinario al punto di risucchiare totalmente la giovane interprete nei meccanismi del cinema. Tra l’altro, “La moglie più bella” è una pellicola galeotta perché Ornella conosce sul set l’affascinante Alessio Orano, idolo delle ragazzine, che rimane stregato dall’attrice e comincia a frequentarla fino a decidere di abbandonare la fidanzata per andare a vivere con lei.
Alessio Oramo è il primo uomo di Ornella Muti e il loro rapporto sarà piuttosto tormentato. La decisione di vivere insieme matura durante le riprese del secondo film che interpretano: “Il sole nella pelle” (1970) di Giorgio Stegani, storia di un giovane hippie che convince una ragazzina di buona famiglia a seguirlo su un’isola in cerca dell’amore libero e puro. La famiglia della ragazzina non vede bene la cosa e cerca di impedire con ogni mezzo la fuga romantica. Ornella Muti si mostra più nuda che nel primo film nonostante la giovane età, ma in ogni caso si parla di un topless piuttosto innocente. La Muti non ama spogliarsi al cinema, quando lo fa esige che ci sia un motivo valido di sceneggiatura. I primi lavori fanno eccezione perché il suo potere contrattuale verso registi e produttori è molto limitato. Per non recitare nuda, Ornella Muti rifiuta di interpretare “Barbablù” (1972) di Edward Dmytryk accanto a Richard Burton e “L’evaso” (1971) di Pierre Granier-Deferre con Alain Delon, mentre nella pellicola “Un posto ideale per uccidere” (1970) di Umberto Lenzi, si fa controfigurare il seno nudo da Antonia Santilli.
La trama de “Il sole nella pelle è molto sessantottina”, legata al clima culturale di un periodo psichedelico, ma in parte ricalca la storia dei due attori. Il critico Paolo Mereghetti stronca senza pietà: “Modesto fumetto con patetici tocchi d’attualità e qualche avaro nudo, interpretato da una giovanissima Muti col suo partner d’allora”. “Un posto ideale per uccidere” (1970) di Umberto Lenzi ci presenta la Muti nei panni di una giovanissima hippie danese a fianco del bel Ray Lovelock, entrambi ricercati dalla polizia per commercio di foto porno. Nella pellicola troviamo anche Irene Papas, che interpreta una ricca signora proprietaria di una villa che ospita i due ragazzi, ma è una vera e propria dark lady perché ha appena ucciso il marito. Non solo, cerca di incastrare i ragazzi facendo mettere il cadavere del coniuge nel bagagliaio della loro auto. I due giovani scappano, ma muoiono in un agguato lungo la strada. Non è uno dei migliori thriller di Lenzi, autore di soggetto e sceneggiatore insieme a Lucia Drudi Demby e Antonio Altoviti. La trama vorrebbe contrapporre i giovani contestatari ai ricchi corrotti. Antonia Santilli fa da controfigura sia per la Muti che per la Papas. Il regista ha più volte ripudiato il film definendolo una pellicola sbagliata, che non avrebbe voluto fare.“Esperienze prematrimoniali” (1972) di Pedro Maso è una produzione spagnola che vede ancora una volta all’opera Ornella Muti come protagonista insieme al suo boyfriend Alessio Orano. La Muti è una ragazza che ha visto finire il rapporto tra i genitori e adesso si mostra scettica sulla possibilità che la relazione con il fidanzato possa durare. Si tratta di un modesto melodramma che Mereghetti definisce “un fumettone pruriginoso sul conflittuale rapporto tra i giovani e le convenzioni sociali in una Spagna che si sta modernizzando”. La pellicola ha il merito di fare incontrare la Muti con il cinema iberico e in breve tempo la bella attrice romana diventa molto nota in Spagna ed è ricercata dai registi locali per la sua bellezza e il suo innegabile fascino.
“Fiorina la vacca” (1972) di Vittorio De Sisti è un “decamerotico” (film erotico ambientato nel medioevo) di qualità ispirato ai racconti del Ruzzante, dove la Muti interpreta una servetta che crede di aver perduto la verginità, ma non è vero. Il ruolo è marginale nell’economia del film, anche se oggi le promozioni dei dvd insistono sulla presenza della Muti mettendola in copertina come se la bella attrice mostrasse chissà quali nudità, mentre si tratta di un film piuttosto casto. De Sisti gira un ottimo lavoro in dialetto veneto che ha per filo conduttore le peripezie di una vacca, la quale passa di mano in mano.
Ewa Aulin è la vendicativa moglie Giacomina che conclude: “è meglio perdere una bella vacca che un bell’oseo”… e non occorre essere veneti per capire cosa intende per oseo. Nel film recitano con pochi veli molte dive del sottogenere, citiamo Janet Agren, Jenny Tamburi, Ornella Muti (ma non si spoglia) e Graziella Galvani. La pellicola è dignitosa e ancora oggi è capace di divertire senza ricorrere a volgarità inutili. Un episodio che vede protagonista Ewa Aulin è girato con il bravo Renzo Montagnani nei panni del classico marito cornuto che si fa becco da solo per scoprire se è vero che la moglie fa la puttana. Ewa Aulin si vendica, lo incorna per davvero e alla fine scappa con l’amante.
“Un solo grande amore” (1972) di Claudio Guerin Hill è una coproduzione italo-spagnola che conferma il buon successo della Muti nella penisola iberica. La giovanissima attrice italiana veste ancora una volta i panni della protagonista accanto a Lucia Bosè, Glen Lee e Caterina Boratto. Lee è un dongiovanni che seduce la diciassettenne Muti per fare ingelosire la madre vedova (Bosé), che subito gli si concede per non perderlo. La ragazzina impazzisce perché si era davvero innamorata. Si tratta del più classico melodramma, un genere che piace molto e che non accenna a morire in Spagna. I film di Pedro Almodovar sono un’altra cosa, perché questo è davvero un barboso polpettone, come dice Mereghetti, salvato appena da un finale surrealista e dal mestiere di un regista scomparso prematuramente.
Un’altra prova spagnola di Ornella Muti è “L’amante adolescente” (1973) di Pedro Maso, interpretato anche da Sergio Fantoni, Eduardo Fajardo, Didi Sherman ed Emilio Gutierrez Caba. Muti protagonista, come da copione, nei panni di una giovanissima cantante che dimentica la carriera tra le braccia di un avvocato quarantenne. La storia d’amore termina quando la ragazza scopre che l’uomo è sposato, ma lei si consola vincendo il Festival di Maiorca. Un fotoromanzo casto di poco interesse, che non sfocia nel melodramma e che non presenta scene sexy di rilievo. Nel 1973, Ornella Muti torna in Italia per interpretare “Le monache di Sant’Arcangelo” di Domenico Paolella, “Tutti figli di Mammasantisima” di Alfio Caltabiano e “Paolo il caldo” di Marco Vicario. “Le monache di Sant’Arcangelo” è il primo tonaca-movie italiano, ma la componente erotica è ridotta a qualche momento lesbico e ad alcune scene di sadomasochismo. Il regista (con la collaborazione di Tonino Cervi) sceneggia un fatto realmente accaduto nel 1577 seguendo la trama di un racconto di Stendhal. La pellicola è girata interamente nel convento di Fossanova, nei pressi di Latina, e racconta la lotta per la successione al posto di badessa. Tra gli interpreti ricordiamo Anne Heywood (fresca Monaca di Monza con Eriprando Visconti), Luc Merenda, Duilio Del Prete, Claudio Gora e Martine Brochard. La Muti è suor Isabella, ma non mostra niente. “Tutti figli di Mammasantisima” è un modesto mafia-movie interpretato da Tano Cimarosa, Pino Colizzi, Christa Linder, Alf Thunder e Ornella Muti. L’ambientazione è nella Chicago anni venti, dove infuria una guerra tra gang siciliane e irlandesi. Un nuovo arrivato riesce a diventare capo della malavita.
“Paolo il caldo” di Marco Vicario, tratto dal romanzo di Vitaliano Brancati, è il film che segna il vero lancio erotico di Ornella Muti in Italia dopo i fasti spagnoli. Il regista sceglie la bella attrice romana per interpretare la piccola ma incisiva parte della servetta che si innamora del protagonista. La Muti strega il pubblico per il suo indiscutibile fascino e fa parlare i rotocalchi rosa che raccontano di una relazione tra Marco Vicario (legato sentimentalmente a Rossana Podestà) e la giovane attrice. Ornella Muti smentisce, come ha sempre fatto in casi analoghi, visto che la stampa le ha attribuito flirt e relazioni con molti attori con cui ha lavorato: Alain Delon, Ugo Tognazzi, Tony Musante, Giancarlo Giannini, Adriano Celentano e Francesco Nuti.
Una sola intrigante scena di nudo la vede protagonista in “Paolo il caldo”, è una sequenza voyeuristica tipica della commedia sexy con il ragazzino che spia uno strip dalle imposte di una finestra. La pellicola presenta un cast di lusso: Giancarlo Giannini, Rossana Podestà, Gastone Moschin, Adriana Asti, Lionel Stander, Riccardo Cucciolla, Vittorio Caprioli, Mario Pisu, Orchidea De Santis, Enrica Bonaccorti, Umberto D’Orsi, Femi Benussi, Barbara Bach, Oreste Lionello e Marianne Comtell. Il critico Marco Giusti lo definisce un erotico colto alla Vicario, ma è un elogio del libertinismo tragico e funereo che riscuote un grande successo di pubblico anche per merito di flani suggestivi (Giannini tra due natiche femminili). Il cast femminile è fantastico e il film riscuote talmente successo che un anno dopo Ciccio Ingrassia gira la modesta parodia “Paolo il freddo”, interpretata da Franco Franchi.
“Appassionata” (1974) di Gian Luigi Calderone è il primo film dove Ornella Muti interpreta molte scene senza veli, ma non soltanto lei: anche Eleonora Giorgi fa la sua parte. Calderone resterà nella piccola storia del cinema italiano solo per questo, infatti comincia come aiuto regista di Bernardo Bertolucci e Damiano Damiani, esordisce in proprio come documentarista, realizza molti lavori televisivi e gira soltanto un paio di pellicole di buon successo. La prima è “Appassionata” (1974) e la seconda “Danza d’amore sotto gli olmi” (1975), conosciuta pure come “La prima volta sull’erba”, con Monica Guerritore e Claudio Cassinelli. A noi interessa “Appassionata”, che scandalizza il pubblico e viene citata in numerose trasmissioni televisive contro il cinema erotico. Durante una di queste trasmissioni un’imbarazzata Eleonora Giorgi si vede costretta a giustificare le pose senza veli con esigenze di trama, mentre un ridicolo giornalista mostra scene avulse dal contesto.
“Appassionata” non è un capolavoro ma resta un buon film, anche se il titolo spagnolo, “Perversa”, rende meglio il clima di morboso erotismo che si respira. La storia racconta i vizi di una famiglia borghese, un amore proibito tra padre e figlia, l’odio nei confronti della madre, la follia di una donna e un torbido rapporto tra un cinquantenne e una ragazzina. Ce n’è abbastanza per sconvolgere i censori, sempre propensi a sforbiciare pellicole che affrontano temi controcorrente. Calderone non è un regista eccellente, dilata i tempi dell’azione, gira a ritmi televisivi (e infatti farà molta fiction), eccede nei silenzi e nelle pause melodrammatiche, ma soprattutto non costruisce una buona tensione erotica. Gli attori sono molto bravi. Valentina Cortese è una perfetta madre malata di nervi, distrutta dall’odio della figlia che non vorrebbe vedere crescere e da un rapporto di amore-odio con il marito. La Cortese è impostata come attrice di teatro, recita sempre sopra le righe declamando ed esprimendo una mimica da tragedia dannunziana, ma in questo caso è adatta al ruolo. Gabriele Ferzetti è un ottimo padre sconvolto dalle grazie conturbanti della ragazzina (Eleonora Giorgi) che quasi lo violenta nel suo studio dentistico, dopo aver finto una reazione a un anestetico.
Ornella Muti è la figlia innamorata del padre che mette in scena un torbido gioco per finire a letto con lui, ottima nel ruolo di lolita sedicenne vestita con abiti scolastici e inserita in un contesto adolescenziale. Eleonora Giorgi è la stupenda perversa del titolo spagnolo, ragazzina morbosamente appassionata del padre dell’amica, che irretisce al punto di spingerlo nel letto della figlia. Ninetto Davoli fa una rapida apparizione come garzone e conferisce un tocco di romanità popolare a una pellicola ambientata in una famiglia borghese. La storia presenta molti risvolti psicanalitici che si intrecciano tra loro. Abbiamo una donna strappata alla carriera e alla sua vera passione, una figlia cresciuta tra l’odio materno e il morboso affetto del padre. In questo contesto si innesca la variabile impazzita della lolita perversa che frequenta la casa perché amica della figlia e con astuzia erotica scatena i sensi del padre. Tra le sequenze migliori segnaliamo un sogno del padre che introduce una parte onirica morbosa e suggestiva con Eleonora Giorgi che si masturba, eccita un cane lupo e infine lo uccide. Il rapporto sessuale tra Ferzetti e la Giorgi, consumato in piedi nello studio dentistico, tra la furia erotica della sedicenne e l’eccitazione sconvolta dell’uomo maturo è molto credibile.
La fotografia flou, i tenui colori seppia, merito di Armando Nannuzzi, conferiscono un alone romantico alla pellicola. La musica di Piero Piccioni sottolinea le parti drammatiche e i momenti morbosi con notevole cura. Il montaggio di Nino Baragli non è molto serrato, ma teniamo conto che siamo in pieno melodramma erotico, un genere dai tempi lenti, che al cinema non si fa più perché confluito nella fiction televisiva. “Appassionata” si ricorda per una furibonda lite tra Ornella Muti ed Eleonora Giorgi avvenuta sul set a causa di un fotografo di scena che la Giorgi non voleva allontanare durante le sequenze di nudo. Le due giovani attrici si prendono per i capelli e solo il provvidenziale intervento di Tonino Cervi placa le acque. Passato l’episodio le due ragazze diventano amiche e lo sono ancora oggi dopo molti anni di carriera. Eleonora Giorgi è diversa da Ornella Muti, perché non si fa problemi a posare nuda per le riviste e a comparire senza veli al cinema. Ornella, invece, è più restia e “Appassionata” rappresenta un vero e proprio trauma.
In questo periodo si incrina il rapporto tra Ornella Muti e Alessio Orano, dopo una furibonda lite che parte della stampa scandalistica attribuisce all’invidia che il ragazzo prova per il successo della compagna. Ornella resta single e torna in Spagna dove l’attende Paco Lara (in arte Paco Polop) per un nuovo ruolo dedicato ai fan iberici ne “La segretaria” (1974), interpretato con Emilio Gutierrez Caba e Philippe Leroy. La trama è abbastanza simile ai precedenti melodrammi, perché racconta la storia di un attore di teatro innamorato della segretaria adolescente (Muti). A un certo punto l’amore finisce e il rapporto diventa un interesse reciproco, fino a quando la ragazzina scappa con un coetaneo che la libera da uno scomodo protettore.
Al ritorno dalla Spagna, Ornella scopre di essere incinta, ma mantiene uno stretto riserbo sul nome del padre perché non vuole sapere niente di un uomo che le chiede di abortire. Alessio Orano decide di sposare Ornella Muti e di riconoscere la bambina anche se non è sua. Il matrimonio viene celebrato il 30 dicembre 1974 davanti a due testimoni e sembra fare tornare il sereno all’interno della coppia, come se fosse il coronamento di un sogno d’amore. La figlia nascerà a Monaco di Baviera e le verrà imposto il nome di Naike.
Romanzo popolare” (1974) di Mario Monicelli giunge a proposito, perché il personaggio dell’operaia Vincenzina deve restare incinta e quindi Ornella non ha bisogno di ricorrere al trucco. Si ricorda la colonna sonora scritta da Enzo Jannacci basata sul tema della canzone “Vincenzina e la fabbrica”. Jannacci e Beppe Viola sono consulenti ai dialoghi e il loro contributo è importante per il dialetto meneghino. “Romanzo popolare” è un dramma della gelosia che vede interpreti un grande Ugo Tognazzi e il giovanissimo Michele Placido. Tognazzi è Giulio Basletti, un metalmeccanico milanese che rinuncia alla vita da scapolo per sposare la bella Ornella Muti (Vincenzina), una ragazza meridionale molto più giovane. In questa situazione si inserisce il tradimento della ragazza e il rapporto con un poliziotto meridionale interpretato da Michele Placido. Film intelligente che analizza il modificarsi del rapporto uomo-donna e la questione della classe operaia unito all’immigrazione. Il successo dell’opera di Monicelli è tale da trasformare Ornella Muti in una diva di prima grandezza ricercata dai migliori registi, non soltanto nazionali.
“Un beso ante de asconderme” (1975) di Mario Camus è un film interpretato dalla Muti di cui non abbiamo notizie perché non ha avuto una versione italiana. “Léonor” (1975) di Juan Luis Buñuel (figlio del più noto Buñuel) è un film interpretato da Michel Piccoli, Liv Ullmann, Piero Vida, Antonio Ferrandis e Vittorio Parziale. Ornella Muti ha un ruolo puramente decorativo e dimenticabile nei panni di Catherine, seconda moglie del protagonista. Una storia fantastica ambientata nel feudalesimo, che vede un signore stringere un patto con il diavolo per richiamare dalla tomba la sua prima sposa Léonor (Ullmann). La pellicola prende una piega horror perché la donna è diventata una vampira e intorno a sé diffonde solo morte. Un film surrealista per affermare che l’amore sconfigge anche la morte.
Il 1976 è un anno importante per Ornella Muti, forse quello della sua vera consacrazione a star, perché viene scelta da Marco Ferreri per un ruolo da protagonista nel controverso “L’ultima donna”. L’attore maschio è Gerard Depardieu, nei panni di un marito profondamente maschilista. Non è facile lavorare con Ferreri, che pretende dalla Muti un’aria meno rosea e più cattiva, meno da personaggio Disney, come afferma il regista. “L’ultima donna” è un film che vede la Muti più nuda del solito, ma guidata da un regista colto, raffinato, originale, controverso, sempre discusso e mai indifferente alla critica. Per lei è un lancio internazionale in piena regola, che la trasforma in attrice di prima fascia. Nel cast ci sono anche Michel Piccoli, Renato Salvatori e Giuliana Calandra. Giovanni (Depardieu) è un ingegnere disoccupato, intreccia una relazione con l’insegnante d’asilo del figlio (Muti). Giovanni è geloso e possessivo, per questo il rapporto si deteriora e la donna si interessa sempre più soltanto del bambino. Il finale spiazzante, come ogni film di Ferreri, vede Depardieu evirarsi con un coltello elettrico. Un omaggio nichilista alla superiorità femminile e un atto di accusa nei confronti della società maschile. Luciano Tovoli firma una mirabile fotografia.
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